
“Se non hai nulla da nascondere perché non ci dai tutti i tuoi dati?” il boom delle tessere fedeltà e i dati che regaliamo senza rendercene conto.
Nei primi anni 90 Esselunga a Milano era già un marchio che ispirava fiducia, oggi più che mai, e io ne sono una cliente più o meno affezionata. Esselunga aveva lanciato le prime tessere fedeltà per i suoi clienti, una tessera con il tuo nome (e indirizzo e forse numero di telefono, questi i dati che le davamo) che ti faceva raccogliere punti, e dopo averne raccolti un tot avevi diritto a un regalo.
L’entusiasmo dei milanesi che frequentavano Esselunga era tangibile, io come sempre polemica mi ero cimentata in una discussione con le mie colleghe di ufficio:
‘Se mi regalano qualcosa, che cosa vorranno poi in cambio?’ chiedevo, e loro a ridere del mio scetticismo.
‘Ma il regalo serve solo a fidelizzare i consumatori’, e io:
‘Sì, certo, e il fatto che possano sapere esattamente cosa acquisto quando vado da loro?’
‘Be’, ma se anche lo sanno cosa cambia? Che cos’hai da nascondere?‘* E lì mi dilungavo in tesi complottiste senza avere, lo ammetto, alcuna nozione di marketing predigitale, però la cosa mi suonava male.
25 anni dopo Esselunga insiste con i suoi clienti affinché invece della tessera installino l’app sul telefonino, per comodità. Non devo venire a spiegarvi io il motivo, basta leggere le clausole: geolocalizzazione, notifiche push, pubblicità personalizzata, identificazione dell’indirizzo IP… ho letto di volata le condizioni e l’uso dei dati, ma queste sono più o meno le richieste.
Io non ho più né la tessera né la app, né di Esselunga né di Sephora né di Ovs, né di Coop… e potrei continuare all’infinito, lo sapete meglio di me. Anzi, appena vado alla cassa di un qualsiasi negozio in automatico, senza pensare, dico: ‘Non ho la tessera, grazie, e no non desidero farla’. Se uso un tono molto assertivo, ho imparato, non battono ciglio.
Se invece volete avere le tessere fedeltà del vostro marchio preferito, è comunque il caso di iniziare a leggere con attenzione le condizioni d’uso delle app che installate, ormai abbiamo tutti gli strumenti online per capire anche termini astrusi, e una volta lette vedrete che vi passerà la voglia di installarle.
Molte app, e qui non sto parlando ovviamente solo di tessere fedeltà, hanno accesso alla nostra rubrica, ad esempio, e così invadono la privacy mia e anche quella dei miei amici. Il caso di Linkedin che anni fa ha pagato una supermulta di 13 milioni di dollari negli Stati Uniti per avere attinto bellamente alle caselle di posta elettronica dei suoi iscritti non ha insegnato molto.
E se penso alla privacy dei miei figli che scaricano app gratuite di giochi e giochini, mi vengono i brividi, perché del GDPR non credo interessi molto a un produttore qualsiasi di app che ha sede ad esempio in Cina.
Quindi la mia filosofia online oggi è: iniziamo ad essere fedeli a noi stessi, prima che ai marchi! Che siano marchi di supermercati, di moda o di social media.
p.s.: le condizioni d’uso delle app dei grandi marchi spiegano bene come non farsi profilare ‘troppo’; il problema è che il loro concetto di privacy è ben diverso dal mio: un esempio, per me la pubblicità mirata è un’invasione della mia privacy, la prova che ogni mia navigazione è stata memorizzata e analizzata. E il linguaggio fintamente rispettoso con cui lo scrivono, non deve trarci in inganno: impariamo a leggere e interpretare, con la nostra sensibilità, tutte le voci a cui diamo il permesso di operare sul nostro smartphone!
disclaimer: non essendo un’influencer, faccio nomi di marchi senza alcun intento di adulazione né di denigrazione, sono funzionali al racconto del mio pensiero.
*frase diventata celebre oggi in epoca social, da quando facebook pretendeva il nostro vero nome e cognome per avere un account (‘tanto, cos’hai da nascondere?) a quando i blogger non sono più stati anonimi ‘tanto, cos’hai da nascondere?’ e hanno iniziato a raccontarci per filo e per segno ogni attimo della loro vita. Per non parlare degli influencer, che hanno perso ogni minimo senso del pudore… ho visto cose che voi umani non potete sapere, o meglio, lo sapete benissimo frequentando ogni giorno le stories di instagram.
Siccome l’ignoranza non paga, leggiamo: